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UNA GEMMA PREZIOSA
“LA PIEVE DI SANTA GIUSTINA” IN PALAZZOLO

Pieve deriva dal latino “plebs” (popolazione), e la Pieve di S. Giustina era vicaria con giurisdizione su un'ampia zona compresa tra S. Massimo di Verona, Peschiera, Lazise e fino al 1711 su Bussolengo, al 1737 su Pescantina e al 1797 su S. Giorgio in Salici e S. Rocco.
La Pieve è datata intorno al Mille, infatti è citata in una Bolla di Papa Eugenio III° del 17 maggio 1145, come "Plebem Palatioli cum decimis".
Viene anche tramandata dai nostri antenati, la tradizione che S. Zeno venisse a celebrare la S. Messa su questo colle, a metà strada tra Verona e il Lago di Garda, per incontrare ed evangelizzare le popolazioni lacustri, che attraverso sentieri giungevano per ascoltarlo.
Il Santo Vescovo, contemporaneo di S. Giustina (martire nel 304 d. C.) e diffusore del Suo culto, può aver sollecitato la dedicazione, seppur di un oratorio, alla Santa. Oratorio che potrebbe essere sorto su di un preesistente tempio pagano. Si presume inoltre che in epoca longobarda, VII° - VIII° secolo, esistesse già una chiesa cristiana di notevole splendore. La costruzione subì nel tempo parecchi danneggiamenti a causa di terremoti (1117) e devastazioni. Durante le ricostruzioni, le pietre finemente lavorate, furono recuperate ed inserite nei muri perimetrali sia all'esterno che all'interno. Ancor oggi si possono ammirare capitelli e conci scolpiti, riferibili a tale epoca..
Nel 1233 il paese di Palazzolo, edificato attorno alla Pieve, fu incendiato da Ezzelino.
Il Venerdì Santo, poichè a Ezzelino, fu bruciato il Castello di Caldiero con duecento persone in esso rinchiuse; per vendicarsi radunò un potentissimo esercito, di Mantovani, Bolognesi, Faentini e Bresciani, che depredò il territorio di Verona bruciando oltre che Palazzolo anche Sommacampagna, Povegliano e Isolalta.
L'incendio risparmiò solo alcune case costruite in sassi morenici e malta come la pieve, due sono ancora visibili in via Cavecchie, alla quale diedero il nome.
Palazzolo fu riedificato più in alto, accanto all'oratorio di S. Giacomo.
Le celebrazioni liturgiche continuarono a svolgersi nella pieve fino al 1533, dopo tale data vi si officiavano solo le festività solenni di Natale, Sabato Santo, Pasqua, Pentecoste e Beata Vergine Maria.
L'abitazione del parroco vi rimase fino al 1585.
La Pieve di S. Giustina è costruita in sassi morenici disposti a spina di pesce e malta, lavorati con delle losanghe per dare un tocco artistico a materiale tanto povero.
Al centro della facciata, in alto, un oculo dà luce alla navata. Un architrave a volta, in conci di calcare, sovrasta la porta d'ingresso centrale, sulla quale sono incise alcune croci che i molti pellegrini hanno scolpito a ricordo del loro passaggio.
A sud, dopo la porta laterale, su un mattone in cotto della muratura, è presente la raffigurazione di una piccola meridiana, probabilmente graffita dal sacrista a suo uso, per suonare le campane che annunciavano le celebrazioni liturgiche.
Cinque campane, realizzate in una lega con un'alta percentuale d'argento, espandevano intorno un suono squillante. Di questo armonioso suono, se ne devono essere accorti anche i soldati di Napoleone, che nel 1797 ne sottrassero quattro, lasciando la più piccola che ora manda rintocchi dal campanile della chiesa parrocchiale.
Il campanile romanico della Pieve, eretto nel 1200, fu più volte ricostruito a causa di eventi tellurici.
Le ultime ricostruzioni furono del 1729 e 1758. Si sa per certo che nel 1700 ci furono nel Veronese ben 28 terremoti, otto dei quali molto distruttivi.
Le quattro bifore della cella campanaria, hanno quattro colonne che poggiano su altrettanti capitelli di pregevole fattura. Colonne e capitelli, potrebbero appartenere ad un ciborio, struttura collocata sull'altare maggiore a protezione della sacra mensa, di epoca longobarda, come altri reperti inseriti in vari punti della Pieve, del campanile e della chiesa parrocchiale.
Inserita nell'angolo sinistro della facciata, una pietra leggermente sporgente di cm 38 x 38, potrebbe essere, per le sue caratteristiche, una piccola ara del III° sec. d. C., ossia di epoca romana.
Fin qui l'esterno della Pieve.
Entrando si rimane stupiti ed estasiati.
La sua strana particolarità è di avere due absidi pur essendo ad una sola navata, l'abside grande, con l'altare in pietra e l'altra con il fonte battesimale.
Appena scesi i due gradini all'ingresso, a sinistra si può ammirare un ciclo di affreschi del Trecento, nel quale sono raffigurati i Santi: Zeno, Simone, Caterina d'Alessandria, Lucia, Giustina, Caterina d'Alessandria, in una seconda raffigurazione, ed Agnese. Più in alto, quattro Santi, identificabili in: Simone, con una campana in mano, Margherita, protettrice delle gestanti e partorienti, con il drago ai piedi, Zeno e Caterina d'Alessandria. Sotto, un affresco con figure di quattro Santi, indecifrabili. Nella parete a destra, partendo da sinistra, i Santi affrescati sono: Maria con il Bambino, Arcangelo Gabriele, Madonna con il Bambino, Giacomo di Galizia, Giovanni il Battista, Matteo, Giovanni il Battista, una seconda volta, Daniele il Profeta, Bartolomeo, Giustina, Madonna con il Bambino, il beato Enrico da Bolzano, Santa Lucia e Santo senza indicazione.
Circa a metà navata, sul lato nord, l'altare votivo di S. Sebastiano, popolarmente detto dei “resteleti”, per un piccolo cancello in ferro battuto che delimitava l'area della cappellina. Fu fatto erigere da due fratelli nel 1515, in ringraziamento a Dio, che attraverso l'intercessione del Santo, aveva loro concesso la guarigione dalla peste. Di S. Sebastiano purtroppo si intravedono solo gli arti inferiori, il resto della figura è andato perduto a causa dell'umidità.
Ben conservato è l'affresco della lunetta superiore, che rappresenta la SS. Trinità e due Angeli in adorazione ai lati.
Al centro della parete a sud, si scorge un affresco della Madonna in trono con il Bambino, ai lati S. Sebastiano e S. Rocco.
I Santi: Pietro, Paolo, Bartolomeo, Francesco, Anna e la Madonna col Bambino adornano l'abside grande, mentre una splendida Madonna che allatta il Bambino e i Santi: Luca, Giovanni Evangelista, Caterina d'Alessandria e Francesco, sono affrescati nell'abside piccola. Il ciclo di affreschi di questa ultima abside, si conclude con due immagini della Madonna, S. Maria che allatta il Bambino, seduta, e S. Maria Vergine, le due raffigurazioni più antiche della pieve, della fine del 1100.
Fino a venticinque anni fa nella Pieve erano conservate altre due opere, ora nella chiesa parrocchiale di Palazzolo. Si tratta di una pala che ha per oggetto la Madonna con il Bambino e S. Giustina, dei primi del Settecento, di autore ignoto, e di un Crocefisso ligneo policromo, della fine del sec. XV, raro esemplare di scultura-manichino, disarticolato, con capelli di crine cinti da una corona di corda. Il Crocefisso posto tra le due absidi della Pieve, proviene dalla parrocchiale, ed è datato ai primi anni del decennio 1960.
Molti sono i reperti marmorei di epoca longobarda inseriti nelle pareti interne di S. Giustina..
Il più pregevole, è una formella inglobata oltre la metà dell'abside grande ad un metro di altezza, il cui perimetro pentagonale è costituito da una decorazione a listello a spina di pesce. Vi è scolpita una croce latina, anch'essa a spina di pesce, il cui punto d'incontro è formato da un fiore a nove petali. La croce poggia sul “monte del Paradiso”. Dai bracci orizzontali della croce, fuoriescono due elementi verticali che terminano in due punte, l'elemento di sinistra ha sulla sommità una decorazione tondeggiante.
Ciò, aveva fatto scrivere fossero delle forchette con cibo infilato, rapportato al Pane Eucaristico, in quanto il reperto era stato riconosciuto come porticina di Tabernacolo.
Ulteriori studi, hanno portato ad identificare la formella come lastra di chiusura di un reliquiario, confrontandola con una di analoga forma e fregio, ritrovata nel 1896 sotto l'altare maggiore del Duomo di Garlate, sul lago di Como, ex pieve dedicata a S. Stefano.
Altri due resti longobardi di pluteo (balaustra che delimita l'area presbiterale dalla plebana), hanno su di essi scolpiti due pavoni, simbolo della vita eterna, che si abbeverano al calice, più sotto il pesce, simbolo di Gesù Cristo Salvatore.
Accanto alla porta d'ingresso laterale, una pregevole acquasantiera ovale, in pietra.
Tornando agli affreschi, su quello di S. Giovanni Evangelista, nell'abside piccola, ci sono alcuni graffiti, le date 1427 e 1475 e la Croce di Lorena o Pontificale, simbolo della lotta contro la tubercolosi. Questo simbolo, scalfito vicino alla data 1427, ci fa supporre che possa essere stato inciso durante una pestilenza, perché al bisogno, la Pieve veniva usata anche come luogo di cura per malati.
Infatti, fino al periodo tra il 1847 e il 1856, mentre era parroco don Garzotti, gli affreschi erano coperti da un manto di calce, stesa sulle pareti per disinfettare. Fu il parroco che notò che da sotto il bianco che si scrostava emergeva del colore. Fece così riportare alla luce gli affreschi, che al tempo decoravano interamente la Pieve.

Mariuccia Armani

Bibliografia: A. Fiorini “Un Paesello” Palazzolo (Verona) 1990.
Archivio Storico della Curia Vescovile di Verona
Pighi “Palazzolo e le sue chiese” Verona 1899.

 

 

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Ultimo aggiornamento: 07-01-08